MACCARI E IL "SELVAGGIO" COLLIGIANO
(Sandra Busini)

Ad una domanda fattagli relativa a notizie di carattere bio-bibliografico che lo riguardassero Maccari rispose: proviamo una volta tanto a presentarci nudi e crudi, senza peccati di gioventù (....)senza curriculum. Non cerchiamo di interessare con altri mezzi che non siano i quadri. Chi guarda non sia frastornato nè suggestionato e resti solo a colloquio con quel che gli si presenta.

L'esperienza colligiana di Maccari è il nostro punto d'avvio per una riflessione che voglia tenere conto anche dei legami con il territorio e con le persone, per ricostruire un quadro più fedele possibile alla complessa personalità dell'artista. E' qui nei bar di Colle Val d'Elsa, nelle piazze, nelle associazioni, nelle istituzioni, che Maccari ha ricevuto e dato, nel bene e nel male, prova tangibiledella sua presenza. E' nel fermento delle idee politiche sociali presenti anche a Colle Val d'Elsa che si inquadrano, per meglio comprendere, gli anni della fanciullezza e dell'adolescenza dell'artista.

L'humus culturale che da sfondo alla vita di Maccari, è ricco di idee, avvenimenti, e della grande storia degli importanti cambiamenti che, a livello nazionale hanno segnato una svolta decisiva nel destino dell'Italia. Ma è frutto anche di altri fatti, altri avvenimenti,forse meno conosciuti, ma non per questo meno significativi, che hanno animato la vita delle provincie, contribuendo a determinare tratti e caratteristiche del tutto specifici, originali, irripetibili.

Mino Maccari è nato in questa provincia, a Siena il 24 novembre 1898, in Via S.Girolamo, o meglio al "Cane e Gatto", da Bruna Bartalini e Latino Maccari. Trascorre gli anni della sua giovinezza con la sorella Maria, di due anni più giovane seguendo la propria famiglia, che a causa della professione del padre (insegnante di latino e greco), si vede costretta a spostarsi in diverse città italiane. Maccari compie dunque i suoi studi, dalle elementari al liceo in sedi diverse, e ad Urbino è anche allievo dell'Accademia delle Belle Arti.

In tutto questo vagare, uno dei punti fissi, luogo geografico di riferimento, è Colle Val d'Elsa. Qui Maccari e la sua famiglia trascorrono le vacanze estive, a San Marziale nella casa di nonno Leopoldo sulla riva alta del fiume isolata e pittoresca per il bosco intorno che scende fin sulla limpida corrente dell'Elsa.

Così trascorrono gli anni della fanciullezza di Maccari e quel luogo, già punto di riferimento geografico era destinato diventare anche punto di riferimento culturale per l'Artista.Fra una corsa in bicicletta e una partita a biliardo, un bagno nel fiume, Maccari a 15 anni chiede l'arruolamento volontario che gli verra rifiutato a causa di una notevole deficienza visiva di entrambi gli occhi. Siamo nel 1913 e in Maccari, ancora giovanissimo si riscontrano i tratti peculiari della sua personalità. L'anno sucessivo lo vede a San Remo, impegnato a costituire insieme ad aluni amici, la società della Burella. Trattandosi d'un accolta di giovanissimi, non v'erano ne scopi precisi o gretti programmi da eseguire. Noi fummo un pò futuristi, un pò romantici; ad ogni modo liberi allegri ragazzi e bizzarri.

Nel 1915 si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza della Regia Università di Siena, gli studi però vengono sospesi nel 1917, quando il 23 aprile viene mobilitato come Ufficiale di Artiglieria di Complemento. Sul suo taccuino annota: la chiamata alle armi mi ha svegliato e mi ha costretto a farmi delle domande che mai mi ero formulate o alle quali non avevo risposto per comodità. Che m'importava di risolvere alcuni dubbi in quei bei giorni che paiono così lontani? Avevo tanto tempo davanti a me!(....)All'appello della patria ho risposto pronto! Un pò stupito di sentire che ero ormai un cittadino valido alle armi, e a difendere la mia terra. Il mio nome è scritto esattamente sui fogli di chiamata, la data della mia nascita(...)

Soggiorna alla Scuola-Accademia di Modena dove incontra Anna Maria Sartori, la futura moglie, e ai primi di settembre è già in zona di guerra, con il grado di Sottotenente di Artiglieria da Campagna. In trincea, ognitanto nei momenti di tranquillità, modella figurine in terra, poi dipinte a olio. Durante l'avanzata degli Austro-Tedeschi verso l'Isonzo viene fatto prigioniero e tradotto a Lubania. Con l'armistizio di Villa Giusti del 4 novembre, Maccari rientra a Colle, dove riprende gli studi di giurisprudenza. La guerra ha lasciato le sue traccie, Maccari comincia a manifestare lunghi periodi di insoddisfazione, si sposta da Bologna a Firenze, da Modena a Colle, da San Remo a Siena, dove pubblica Orgia, scritto al fronte, a Musile nel 1917. Si tratta del suo primo libro di poesia in cui emerge romanticamente non meno che dolorosamente un atroce insoddisfazione personale. Tra un'esame e l'altro frequenta Annie, prende parte a balli e ricevimenti, comincia a leggere Soffici, iniziando così un sodalizio destinato a tramutarsi in collaborazione al "Selvaggio" e in intensa amicizia fra i due.

Nei suoi taccuini inediti, annota di tutto, a dimostrazione dei suoi interessi e della costante attenzione di quanto gli accade intorno. Scrive: per accorgersi della meschinità dei moderni autori italiani, basta aver la pazienza di leggere i grandi scrittori passati. Così potremmo capire da chi copiano i futuristi, chi sfruttano i letterati mestieranti (...)

Il 14 maggio 1920 consegue la Laurea in Giurisprudenza presso l'Università di Siena e fa praticantato nello studio dell avvocato F. Guerri, e quindi a Colle Val d'Elsa nello studio dell avvocato Leonardo Dini.Ma lui preferisce disegnare, incidere rozzamente piccoli culs de lampe di cattivo gusto, gironzolare per la campagna per quelle colline boscose variate da prati, campi e vigneti, disseminati di casolari antichissimi, dipingendo dal vero con qualche vaga aspirazione macchiaiola, dedicarsi al suo diario, scrivere versi in rima (...) constatare che l'Italia è in mano ai maiali.

Il 30 settembre 1921 si iscrive al Partito Nazionale Fascista-Fascio di Combattimento di Colle e partecipa ad azioni di squadrismo. L'anno sucessivo, esattamente il 19 Aprile, sposa Annie a Bologna e con lei si stabilisce definitivamente a Colle Val d'Elsa. Il 28 Ottobre 1922 partecipa alla "marcia su Roma".

Maccari al rientro a Colle Val d'Elsa riprende la sua normale vita, prendendo parte alle adunanze ed alle attività del Direttorio del Fascio, girovagando per la campagna circostante in bici o a cavallo, esercitando la professione presso il Tribunale di Siena, con scarso profitto ed interesse.

Dal gennaio 1923 prende a corrispondere con Achille Lega, in Via Giordani a Firenze, con il quale da questo momento avvia un duraturo rapporto di amicizia. E sempre nel 1923 Maccari stabilisce un'altro importante legame con uno degli artisti che ha lasciato alla nostra cultura tracce indelebili della sua arte e umanità: Ottone Rosai. Proprio questi non manca di inviare incoraggiamenti a Maccari, avendo visto le sue xilografie da lui inviate all'editore Valecchi. Maccari lo ricorda: Non dimenticherò mai che il primo giudizio benevolo sui miei tentativi di disegno mi giunse con una lettera di Ottone Rosai: 1922 o 1923. Avevo mandato da Colle di Val d'Elsa, dove vivevo nel più assoluto isolamento alcune incisioni all'editore Attilio Valecchi. Rosai le vide, gli interessarono e mi scrisse. Non sapevo chi fosse e andai a cercarlo a Firenze. L'incontro ebbe per me un'importanza decisiva e rivelatrice. La forza dei suoi disegna e la serietà del suo impegno da artista mi commossero e mi diedero una coscienza nuova, aiutandomi a liberarmi dal dilettantismo nel quale mi dibattevo. L'istintiva ammirazione che mi suscitò quell'incontro doveva avere poi conferma da tutta la vita operosa di Rosai, artsta e poeta.

Alla fine dello stesso anno, esattamente il 27 dicembre del 1923, Maccari viene contattato da Angelo Bencini, che pensa a un giornale locale. Angelo Bencini, detto Giangio, ex ufficiale ed ex combattente, vinaio in Poggibonsi, si rivolge all'avvocato Maccari perchè ha notato le sue attitudini al lavoro giornalistico e al disegno. Maccari accetta con entusiasmo questa iniziativa: il 13 luglio 1924 "Il Selvaggio" esce per la prima volta a Colle Val d'Elsa, ne è direttore responsabile Angiolo Bencinie redattore Mino Maccari. Viene stampato nella tipografia Bardini di Colle su una carta giallina molto povera, in formato 48x33, coposto da 4 pagine a 4 colonne. La redazione è in Via dell'Arringo (Via Garibaldi)(...) poi si passò in Piazza Arnolfo, colligiano (...) quel nome non fù senza influssosu di noi, capimmo infatti che non basta arringare, ma occorre costruire.

Indubbiamente la realizzazione della rivista che, agli inizi era settimanale, in un piccolo centro e con scarsi mezzi finanziari dovette comportare un grosso sforzo organizzativo, che però venne immediatamente ripagato dato che essa ottenne subito una larga diffusione a livello locale. Così Maccari, molti anni dopo commenta l'uscita del giornale: doveva essere un giornaletto locale, che so?, raccontare del trasferimento del macellaio e delle corna del farmacista. Eravamo nel 1924, avevano amazzato Matteotti. Io ero giovane, dannunziano, megalomane, esibizionista, vanitoso. L'idea di fare un giornale mi solleticava. E poi (...) la mettifoglio della tipografia era bella, bianca con gli occhi della Madonna (...)si, la famosa Neve. Insomma mi convinsi. Ma non avevo un'ideologia. Vivevo di sentimenti, di passioni, di scherzi. Hegel e Marx io non gli ho mai letti; di Nietzsche e mi sembra anche di Stirner, che era uno dei maestri del Mussolini rivoluzionario, ci parlò Pellizzi, che era coltissimo. A me piacevano Montaigne, Voltaire, Leopardi e Shopenhauer, gli spiriti liberi (...)Il selvaggio porta come sottotitolo "battagliero fascista" mentre alla sinistra della testata si trova il motto di Marinetti "marciare e non marcire", a destra "ne speranza ne paura". La prima e la seconda pagina sono completamente dedicate alla politica, la terza riportava notizie di cronaca estera ed interna, dando maggior spazio a quella della provincia senese. E' ricorrente infatti in questi primi numeri, la cronaca di Colle, di Poggibonsi, di Casole d'Elsa. L'ultima pagina, almeno fino al 21 dicembre del 1924 è occupata interamente dalla pubblicità, unica fonte di finanziamento, insieme alle sottoscrizionidei fascisti locali. Sono pubblicizzate molte ditte di Poggibonsi e di Colle. Nell'ultima pagina del primo numero del "Selvaggio" è stampato un linoleum inciso da Maccari per la Ditta Alessandro Buccianti di Colle Val d'Elsa che provvedeva alla torrefazione del caffè. La lastra rappresenta una donna nuda che beve una tazzina di caffè. Gli articoli sono firmati da Angiolo Bencini e Mino Maccari, altre firme saltuarie dell'avvocato Sangiorgi, Antonio Coccheri, di Alfredo Nepi e altri.

In una delle tante richieste di soldi apparse su "il Selvaggio" si dà un sunto della prima attività: nato per la volontà di pochissimi squadristi, subito dopo l'affare Matteotti, quando tanti fascisti si affrettavano a togliere il distintivo dall'occhiello, questo scalcinatissimo settimanale ha fatto il proprio dovere meritandos gli autorevoli rimproveri dell' autorevole Adolfo Baiocchi, per aver detto male di Garibaldi (...) Neppure gli intellettuali del fascismo hanno trascurato il selvaggio: Bottai per tentare di sfotterlo; Suckert per portare al nostro fianco il suo metro e novanta di statura (...)

Il "Selvaggio" esce in un periodo che appare adatto ad un ritorno di fiamma dello squadrismo, inquanto dopo l'uccisione di Giacomo Matteotti il partito ha bisogno di riprendere con decisione l'iniziativa politica e di governo. Il foglio ha lo scopo di dffondere e difendere la fede degli squadristi, che a Colle sono costituiti da reduci alla ricerca di una collocazione nel sistema, da piccoli commercianti ed artigiani a caccia di qualche beneficio di ritorno per i sacrifici sostenuti durante la guerra, da piccoli proprietari terrieri timorosi di qualche fremito "rosso" serpeggiante per le campagne; non manca tra essi qualche operaio, ostile ad un certo inurbamento di contadini, forse perchè ritenuto privo di maggiori oppurtunità di lavoro. E nella miscela di delusione per la politica degli uomini della democrazia parlamentare e per l'ingratitudine nei confronti dei reduci (tornai a soffrire i tormenti di una società indigente ed esasperata dalla ricchezza ostentata dai profittatori di guerra) ha probabilmente origine sulle colonne del "Selvaggio" una campagna contro i liberali che della democrazia parlamentare sono da vecchia data gli alfieri più rappresentativi e noti.

Ben presto le inserzioni pubblicitarie terminano ed "Il Selvaggio" lancia continui appelli perchè gli abbonati rinnovino l'abbonamento. Sono momenti difficili per l'economia, già precaria, di questo giornale; cominciano a mancare i soldi che i fasci di Poggibonsi e di Colle inviavano per sostenere il loro giornale fascista in provincia. Addirittura dal 23 ottobre del 1925 "il Selvaggio" esce in sole 2 pagine, con pochi articoli, ma ricco di vignette umoristiche di Maccari.

A questo punto non rimane che una via, quella "dell'intelligenza", come dichiara Sugo di Bosco. Non è senza significato che nella testata del n. 41 del 23 ottobre 1925 appaia per la prima volta la dicitura leonardesca "Salvatico è colui che si salva": è un modo per comunicare a chi di dovere che aldilà a quelle che potranno talvolta essere, si è capito quale rotta è stata indicata.

Nel frattempo a Bologna nel Novembre del 1924, Maccari ha conosciuto Leo Longanesi: finalmente i due "nani" di Strapaese si incontrano e appena un'anno dopo Leo Longanesi è a Colle di Val d'Elsa per tracciare i grandi piani dei due giornali "Il Selvaggio" e "L'Italiano" che uscirà con il primo numero a Bologna il 14 gennaio 1926. Longanesi rievoca la visita fatta a Colle: Sono trascorsi tre mesi dalla notte che venni su a Colle a trovarti, ricordi? Parlammo degli odi e dei amori dei nostri Ras, dei soliti maiali che ogniuno di noi si trova sempre fra i piedi, della pittura di Ardengo, della rivoluzione, del duce e della famiglia de Medici che forse ci avrebbero valorizzati (...). Dalla famiglia de' Medici passammo alla rivoluzione francese, e li, fatta una sosta ideale, costruimmo castelli in aria illudendoci di essere due capoccia in stivaloni, berretto frigio e sciarpa nazionale.

Il 15 Maggio del 1926 "Il Selvaggio" è a Firenze e viene stampato su carta azzurrina, nello stabilimento tipografico "Giannini e Giovannelli" di Via della Pergola 16. La redazione e in Via dei servi 51, allo stesso indirizzo della casa editrice "La Voce" diretta da Curzio Suckert (Malaparte) che si rivelerà un importante punto di contatto fra la rivista del Maccari e l'ambiente fiorentino. Maccari è ora direttore responsabile de "Il Selvaggio" che diviene un quindicinale e non più un settimanale. E' sparito il Bencini ed anche l'animo da "battagliero fascista". In un capitoletto dedicato all'arte Maccari scrive: Non c'è che l'arte. L'arte è l'espressione suprema dell'intelligenza di una stirpe. Una rivoluzione è anzitutto e soprattutto un atteggiamento e un orientamento dell'intelligenza, dunque dalla produzione artistica noi avremo l'indice del valore d'una rivoluzione. Il discorso del duce alla Mostra del Novecento conferma tale concetto: esso ha pesato in modo decisivo sulla crisi del "Selvaggio" il cui atteggiamento aveva già tutti i caratteri di una manifestazione artistica; sicchè nessuno potrà meravigliarsi dell' avere il Selvaggio chiuso il suo periodo squadristico ed eletto a compito di una sua nuova vita di coltivazione dell'arte.

Sono di questo periodo gli prseudonimi Gratta Gropponi, Unghia Tormentata, Tritamacigni, Nerbo-di-bove, Sugo di Bosco, Pistolenzia, Indovinalagrillo, Fottivento. Sul Selvaggio appaiono anche nomi di scrittori e di artisti di grande animo e talento: Soffici, Agnoletti, Franchi, Longanesi, Rosai, Luchini, Pellizzi, Palazzeschi, Lega, Carrà, Morandi, Galante, Medardo Rosso, Semeghini,Spadini, Gallo, Fattori, Rondinelli, Quinto Martini. Il giornale, e quanti vi pubblicano opere o scritti, è divenuto uno dei fogli più importanti d'Italia. Vi gravitano personaggi forti, vivi, entusiasti che ne fanno un vero e proprio "libro dei sogni" dove impera la parola creare.

Sul primo numero del "selvaggio" fiorentino, Maccari aveva scritto che la battaglia della intransigenza era finita, perchè (...) noi sentiamo bene che oggi non è permesso a chiunque fare della politica. Col fascismo la politica è arte di governo, non di partito. Col fascismo i partiti non hanno diritto di esistere (...). Sul n.7 del 30 giugno 1926 aveva precisato che avrebbe dato la preminenza a questioni relative all'arte, arte intesa come espressione dell' intelligenza "di una stirpe" e strumento di misura del valore di una rivoluzione.

Scrive Ottone Rosai ad Ardengo Soffici in una lettera del 1 settembre 1927: caro Ardengo, ài visto bel gazzettino à fatto Maccari. Il tuo articolo non c'è entrato perchè il giornale era già fatto e levando quello che si voleva levare andava all'aria tuttsa una pagina. Non è male essere previdenti e quest'altro numero ci troviamo roba senza aver da rompersi la testa. Noi stiamo già accomodando la tua mostra con 12 quadri che ci ha dato Agnoletti: 4 li à la Brown e ora è in campagna e sarà difficile averli, occorrono perciò subito i tuoi due che potresti mandare per il solito corriere. E uno dei tuoi ultimi non lo metteresti? A noi parrebbe una cosa importante. Saluti da me e da Lega a te alla signora e ai tuoi bambini. E allora in un'altra del 24 ottobre 1928, sempre indirizzata ad Ardengo Soffici: Caro Ardengo, ho ricevuto il programma e l'invito per la mostra del 900. Come ci si contiene? Per quanto Lega mi abbia già detto che manda io ci tengo a che il gruppo dia l'idea di una disciplina e non manderei niente se nè te nè Maccari nè Morandi nè gli altri mandano. Sappiamo dire qualcosa in proposito al più presto perchè credo che per notificare le opere ci sia un tempo determinato. Tanti saluti a te alla signora e ai bambini tutti i miei baci.

Dal 7 ottobre 1926 la redazione di Via dei Servi ospiterà anche una mostra permanente a valorizzazione del disegno italiano, mentre l'anno successivo, in Via S.Zanobi 60, si apre "La Stanza del Selvaggio", esposizione perpetua di pitture sculture e disegni.

Il Maccari sul n.8 del 15/30 giugno1926 scrive: qui o signori, incomincia la storia di Strapaese, di uno strano luogo (...), dove il sindaco veste di fustagno, non c'è la tassa sui cani e non ci sono orinatoi, perchè la gente piscia al muro(...) (...)dove si fa e non si dice(...) (...)dove i moccoloni ruzzano e le donne son sempre gravide (...) situato (...) un po più giù di Firenze un po più su di Siena (...)

Sono i Selvaggi che fanno Strapaese. E Maccari ci descrive finemente, nel corso dei successivi numeri, usi e costumi, leggi e dicerie, al punto che ci sembra quasi di vederlo, questo strano posto. A Strapaese, luogo ideale e crogiolo dei valori legati alla vita semplice, schietta areste si contrappone Stracittà che rappresenta il nuovo, l'America, il liberalismo. Questa invenzione è servita al Maccari per raffigurarci, come se lo stesse dipingendo, un paese a cui si accede solo dopo essersi liberati dai fardelli ( tale e tanta è la fatica per arrivarsi) per essere così in grado di dare attualità alla tradizione. E questa attualità sarà ben affermata nella lunga disputa di carattere politico, artistico e di costume che vedrà impegnati gli ideatori di Strapaese contro coloro ritenuti responsabili dell'anima di Stracittà. Strapaese era la tendenza che si opponeva, in campo artistico a quei gruppi di intelettuali che cercavano un rapporto con le avanguardie europee. Il Selvaggio era appunto l'organo di Strapaese che si atteggiva a popolaresco e plebeo, a sprezzatore di ogni moda e corrente che venisse d'oltre confine.Sempre nel 1927 la "Stanza del Selvaggio" organizzerà anche la "Il Mostra d'Arte del Gruppo del Selvaggio" e successivamente anche una personale di Ardengo Soffici.

Nel 1928 Maccari partecipa per la prima volta alla Biennale di Venezia e pubblica presso Valecchi "IL Trastullo di Strapaese", raccolta di poesie satiriche ed epigrammi. Nel 1929 trasferisce la redazione del suo giornale a Siena, nata mentre Malaparte lo chiama a Torino per assumere il compito di redattore del giornale "La Stampa". Nel 1931 trasferisce anche la redazione del "Selvaggio", al quale aderiscono nuovi collaboratori: Velso, Mucci, Italo Cremona,Primo Zeglio, Enzo Righetti, Nicola Galante, Eugenio Galvano, Mario Tobino, Luigi Spazzapan.

Con il trasferimento della sede a Roma nello stesso anno e con l'uscita del n.1 del 31 marzo 1932 si aggiungeranno: Arrigo Benedetti,Gino Visentini, Cesare Brandi, Vincenzo Cardarelli, Vitalino Brancati, Bruno Barilli, Alfredo Mezio, Francesco Lanza, Carlo Mollino, Antonio Baldini, Sandro Volta, Antonello Trombadori, Orfeo Tamburi, Rensato Guttuso, Toti Scialoia, Arnoldo Chiarrocchi, Giuseppe Viviani e Carlo Socrate.

Il "selvaggio" inizia anche una modesta attività editoriale pubblicando "Vita di Pisto" di Romano Bilenchi nel 1931, "Tempo di Guerra" di Arrigo Benedetti nel 1933, "Commiato del Tempo di Pace" di Ardengo Soffici nel 1935, "cavalleria" di Vittorio Polli nel 1936, "canti Popolari di Ciociaria" di Luigi Colacicchi nel 1936 e "L'Elegia Romana" del padre Latino nel 1939. In questi anni partecipa a numerose e sempre più importanti manifestazioni artistiche, anche oltreoceano e il nome di Maccari si lega sempre più alla sua arte che non alla sua penna, il giornalew è al culmine del suo fervore artistico e culturale.

In prima pagina un linoleum a colori dal titolo "Troppo Cuore" e una didascalia:" dai De Amicis mi guardi Iddio-che dai De Nemicis mi guardo io". Nel suo taccuino inedito di quest'anno annota: tutti verbi si volsero al futuro, il passato diventò remoto, il passato si addormentò, dimenticando di caricare la sveglia.

Continua la sua collaborazione a giornali e riviste, riceverà numerosi premi e riconoscimenti per la sua opera artistica che conta una innumerevole quantità di lavoro. Nel 1970 , congedandosi dall'insegnamento alterna lunghi soggiorni a Roma e al Cinquale che ormai è divenuta la sua residenza e dove trascorre gran parte del tempo dedicandosi all'incisione di xilografie e linoleografie a colori. In quello stesso anno alla II Biennale Internazionalke di grafica a Palazzo Strozzi di Firenze, un gruppo di stampe del "Selvaggio" vengono esposte nella mostra "Le Grafica fra le due guerre: 1918-1939", presentata da Luigi Cavallo il quale così descriveva le origini culturali ed ideali del primo Maccari: Colle Val d'Elsa è quel paese embricato di case che spiombano su mura antiche e orti, con qualche campanile a punteruolo e la piazza centrale ombreggiata di vecchi alberi, le panchine di pietra, la trattoria con la semplice insegna sopra la porta centinata. Gli uomini del posto, contadini, allevatori, operai di vetreria, manovali, carradori, siedono volentieri all'osteria per una partita a carte; gente zotica come tagliata e sgorbia. Il luogo e gli abitanti così come si vedono in un gruppetto di xilografie eseguite fra il 1920 e 1925 dal giovane Mino Maccari, nativo di Siena e abituale villeggiante, assieme con la famiglia, nel circondario di Colle durante le vacanze estive.

Nel 1974 Maccari cura, per la Piccola Scala di Milano le scenografie e i costumi del "Convitato di Pietra" di Bertati. Nel 1975 al teatro comunale di Fiuggi, un gruppo di amici, che comprende fra gli altri Antonello Ruffo, Enzo Dalla Chiesa, Tito Balestra, Alfredo Mezio e Libero Bilenchi. Nel 1976 lo studioS.P.E.S. pubblica l'anastatica del "Selvaggio", diventato nel frattempo introvabile.Il 16 giugno 1989 Maccari muore a Roma dopo breve malattia assistito dalla moglie e dai figli, nella sua casa di Via Villa Emiliani 5.


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