Mino dal Colle - l'impolitico di Strapaese

G. Callaioli

 

Il "ritratto" dell'impolitico Mino Maccari è anche il ritratto di vent'anni di vita politica italiana.
Accanto alla figura del pittore si muovono tutti i suoi compagni di fede diciannovista, intellettuali come Bottai, Pellizzi, Ricci, Malaparte, Soffici, Prezzolini e giovani oscuri come Giannaccia, Poca Legge, il Bove, tutti reduci dalla Grande Guerra, i quali non accettano che il loro sacrificio, quello ancora più grande dei compagni caduti e, in genere, tutte le sofferenze del popolo, diventino vani, e ne traggano beneficio gl'imboscati e gli speculatori, per i quali il conflitto è stata l'occasione per accumulare fortune economiche. Si muove anche ciò che rimane dell'«italietta» giolittiana, custode del privilegio e dell'ingiustizia sociale, travolta dagli eventi bellici ed ormai incapace a garantire le posizioni dei suoi mandanti ed anche ad assicurare un minimo di ordine pubblico. Compaiono anche le violenze inutili e sciocche dei socialisti che forniscono ai fascisti una giustificazione alla loro violenza ed inducono Gramsci ed i suoi amici alla scissione di Livorno con la conseguente formazione del Partito Comunista Italiano.
Poi, dopo che il fascismo è andato al potere e si è consolidato, attraverso la passione e la sofferenza del pittore di Colle, emergono l'involuzione e la degenerazione del regime di Mussolini che, in nome di un imprecisato concetto di normalizzazione, consentono il reinserimento nella vita politica degli uomini del vecchio regime contro il quale si erano mossi Mino ed i suoi compagni.
Da questa situazione grottesca nasce la satira espressionista del Maccari il quale, in una lettera a Soffici del 1926, confessava di non aver ancora trovato la propria strada. Gliela fa trovare il regime con la sua incapacità di creare un ordine dei valori.
In quest'ottica va intesa la polemica Strapaese-Stracittà: da un lato vi è la volontà di essere moderni senza ripudiare la grande tradizione artistica italiana, anzi, traendo da questa insegnamenti ed ispirazione; dall'altro, nonostante artisti di prim'ordine come ad esempio il pittore Sironi, v'è soltanto la ricerca delle mode. Ma il regime mostra di privilegiare le mode, anche perché - come dirà Maccari molti anni dopo - «la satira è sempre sgradita ai potenti».
La degenerazione del fascismo si trasmette ai giovani.
Il Selvaggio, che era nato per loro, che gli aveva aperto le proprie colonne, non piace più ai giovani della seconda metà degli anni Trenta. Essi non se la sentono di compromettersi scrivendo su un giornale “scomodo”: vi collaborano per breve tempo per sfruttare l'indubbio prestigio della rivista poi fanno vela per acque più tranquille, magari per la superconformista Antieuropa di Asvero Gravelli.
Infine, attraverso la vicenda di Mino del Colle, si conoscono gli aspetti più squallidi dell'estrema rovina del regime che purtroppo trascina con sé tutta l'Italia. Gerarchi e gerarchetti che, mentre le sorti delle Forze Armate Italiane volgono al peggio, proseguono nei loro intrighi da quattro soldi, sempre attenti al loro interesse personale e mai a quello generale della Nazione. Infine il regime muore mentre lo straniero calpesta il suolo italiano, proprio come nei secoli passati.
Con esso muoiono anche Strapaese e Mino Maccari 'politico'. Ma il regime muore in ginocchio, mentre essi cadono in piedi.

 

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